La cucina cilentana è tradizionalmente semplice e povera. Le pietanze si basavano
essenzialmente sui prodotti della terra. Le verdure e i legumi (in particolare le
verze, le patate e i fagioli), ma anche i cereali venivano quotidianamente adoperati.
Anche le castagne, prodotto di cui il territorio è sempre stato ricco, venivano
spesso utilizzate in varie portate. Nel periodo invernale si consumavano molto le
minestre vegetali condite con carne mista o di maiale. La menèsta era il primo piatto
a base di verdure. Tutti gli altri piatti a base di pasta, riso, patate, legumi,
col brodo o conditi con salsa, venivano detti primo piatto o indicati con il nome
degli ingredienti. Tutte le salse, comunque preparate, venivano denominate broro.
Il brodo si distingueva dalla salsa, perché prendeva il nome dagli ingredienti con
i quali era stato cucinato: ad esempio broro re carne, (brodo di carne), broro re
addina, (brodo di gallina), ecc. Tutti i sughi derivati da carni fritte o arrostite,
da uova fritte, da insalate, da residui di cibi cotti, venivano definiti: aùnto.
Da qui il verbo aùnta, cioè il cospargere di sughi, di salse, di olio, di grassi
vari sciolti sui cibi, sul pane, sui maccheroni, ecc. Ma sicuramente i piatti tradizionali
delle feste erano a base di pasta casereccia preparata a mano. Gli ingredienti per
i maccaruni re casa erano i seguenti: una jummèdda (il contenuto delle due mani
giunte a coppa) di farina per ogni commensale e una per la cauràra (caldaia), cioè
una parte in più. Acqua, quanto basta. Raramente venivano aggiunte le uova all’impasto.
Sale, quanto basta. In genere le massaie preparavano i maccaruni re casa la sera
precedente, o anche qualche ora prima della cottura, in modo che avevano il tempo
di essiccare. Si disponeva la farina a funtàna (cratère) sullo scannatùro (stenditoio),
dopo averla setacciata con la seta, poi se ménava (impastava) per molto tempo e
con forza. Con la pasta pronta si confezionava un paniéllo (panello) dal quale si
staccavano i nìnnoli (pezzetti di pasta). Questi si arrotolvano sullo stenditoio
fino a raggiungere lo spessore di un centimetro e la lunghezza di 20 centrimetri
circa. Ogni rotolino di pasta veniva incavato con un ferretto forgiato a sezione
quadrata. L’abilità del movimento e il metodo con il quale la massaia decideva di
incavare con il fierro stabilivano il tipo di pasta: se l’ incavo veniva tirato
fino ad unire i lembi della pasta, si formava un maccherone bucato; altrimenti,
inclinando di parecchio il ferretto rispetto il bastoncino di pasta, l’incavo produceva
una spirale formando un fusillo. Dopo l’essiccazione venivano cotti nella cauràra
di rame in abbondante acqua salata e poi si condivano con i normali bròri (le salse,
che spesso nei giorni di festa si preparavano con la carne di castrato), poi la
pietanza si cospargeva con abbondante formaggio di capra, o altro formaggio stagionato
locale. Incavando con le dita i tocchetti di pasta in un utensile che si chiamava
cemicchio a trama larga, venivano prodotti i cavatielli. Tagliatelle e tagliolini,
invece, si ottenevano da una sfogliadi pasta che veniva stesa più volte con il laanaturo,
un bastone cilindrico manovrato abilmente dalle massaie. La laana (sfoglia circolare
di circa un metro di diametro) veniva poi arrotolata e tagliata a strisce larghe
o sottili. Al Mercato Del Sabbato si potevano acquistare anche vari tagli di carne,
compreso le interiora, di vari animali: mucca, capretto, castrato e agnello. Ma
generalmente, durante l’inverno, si preferiva consumare la carne degli animali allevati
in proprio: principalmente il maiale. Molto apprezzati erano i nghiummarieddi (involtini
di budella di capretto cotti alla brace), un piatto di origine medievale. Altri
piatti della tradizione contadina, molto apprezzati ancora oggi, erano: castagne
e fasuli, pasta e ciceri, l'ottima pasta e fasuli, e il panecuotto. Per la preparazione
di questo squisito piatto, seppure semplicissimo e povero, si utilizzavano i pezzi
di pane raffermo che non andavano sprecati perché, come dicevano i contadini, è
grazia re Dio. Si preparava disponendo il pane in una larga sartania (padella) di
rame con acqua, olio e peperoncino e lo si consumava attorno al fuoco prendendolo
direttamente dalla padella poggiata sul treppete (treppiedi i ferro battuto). La
frisiddi cu la pummarola (biscotto o fresella di grano duro bagnato e condito con
pomodoro fresco, sale ed olio) era, ma continua ad esserla ancora oggi, la colazione
preferita dai contadini. A Pasqua e a Natale tutte le massaie erano impegnate nella
preparazione di molti i piatti della tradizione, anche parecchi giorni prima delle
feste. Caratteristiche di Pasqua erano alcune pizze rustiche ripiene: caso e furmaggio,
grano a lu furno, pizzachiena, tortanetti, anginetti có lu naspro, pastiera rustica.
A Natale tutti i componenti della famiglia erano impegnati nella preparazione delle
varie pietanze dolci e rustiche. Gli uomini, in linea di massima, andavano per boschi
per procurare la legna adatta alla cottura degli alimenti. Di solito veniva adoperata
la legna di auzino (ontano) per produrre una fiamma viva. Le cocotole erano rustici
fatti con pasta lievitata e poi fritta. Si usava prepararne in abbondanza, infatti
duravano fino al periodo dell’Epifania. Ma col passare dei giorni tendevano a indurirsi
per cui, prima di mangiarli, era necessario ripassarli sul fuoco infilati in uno
spiedo, per renderli nuovamente morbidi. I mustacciuoli e la pizza annosprata erano
i dolci tipici che venivano preparati per tutte le occasioni, matrimoni, feste patronali.
Erano fatti con pan di spagna e tagliati a forma di rombo, poi venivano guarniti
con il naspro (glassa di zucchero cotto), i canditi e i riavulilli (confettini di
zucchero colorati). La pizza annosprata, invece, era una torta confezionata con
pan di spagna e farcita di crema pasticciera e ricoperta di naspro, confettini e
canditi.