LA STORIA DI MERCATO C.TO
Tratto da Francesco Volpe “I mercati settimanali nella vita economica, civile e
religiosa del Cilento nell'età moderna”
(…)Limitando per il momento la nostra attenzione ai soli raduni commerciali tenuti
con periodicità settimanale, dobbiamo rilevare la grande importanza che ebbe nella
vita civile, economica e religiosa dei cilentani il cosiddetto Mercato del Sabbato
(Sui documenti si trova pure talvolta « Forum Sabati » o « Mercato di S. Maria dei
Martiri » o « Mercato del Cilento » Nel corso del presente lavoro useremo il termine
« Mercato »), che per circa cinque secoli si è tenuto nel luogo dove oggi sorge
il centro abitato denominato appunto Mercato. La sua storia, almeno nella fase iniziale,
è legata a quella del convento che sovrasta l'abitato col suo austero fabbricato
e con l'annessa chiesa intitolata a Santa Maria del Carmine. E' una storia che ha
inizio verso la metà del secolo XV, quando un prete della vicina terra di S. Mango,
Angelo Sombato, fondò il convento e la chiesa dedicandoli a Santa Maria dei Martiri,
per un'antica tradizione che voleva in quel luogo la dimora di alcuni martiri cristiani
nel primi tempi del cristianesimo.(…) (…) Il Sombato, che proveniva appunto dall'antica
S. Magno (diventata, per metatesi, S. Mango), consapevole del vuoto lasciato da
questi antichi monasteri, si recò dapprima sul monte Stella e li cercò di dar vita
al culto di S. Maria in una cappella già esistente su quella vetta,fiducioso forse
nel fatto che la centralità del monte potesse attirare pellegrini da tutto il Cilento
storico. Dopo alcuni anni, coi copiosi proventi venutigli dalla risorta devozione,
poté fondare il monastero di S. Maria dei Martiri. Da notare che nella scelta del
luogo, che abbiamo descritto felice per clima e posizione, egli non tenne conto
della scarsa fertilità del territorio circostante, ma badò essenzialmente che il
fabbricato non sorgesse in un sito isolato o di difficile accesso. Il criterio del
Sombato rispondeva alle esigenze dei tempi. Nell'alto medio evo il monaco colonizzatore
crea la sua cella nei siti dove il terreno agrario è più fertile, il declivio più
dolce, l'acqua sorgiva più vicina. Ora, invece, in pieno secolo XV, il plesso monastico
non si costituisce piùin funzione al dissodamento del terreno, ma vuole essere centro
di devozione che attira pellegrini di un'ampia plaga, magari rinvigorendo un culto
antico che si va spegnendo. E' ciò che tenta Sombato, prima sul monte Stella, poi,
con maggiore successo, a S. Maria dei Martiri. L'edificio fu consacrato dal vescovo
di Capaccio nel 1477 e con bolla di papa Paolo V del 4 marzo dello stesso anno fu
affidato al padri carmelitani, sembra per interessamento di uno di tali religiosi,
padre Giovannide Signo. La fama del nuovo centro devozionale si diffuse velocemente
per tutto il Cilento e compagnie di pellegrini, dapprima rade e sparute, poi sempre
più fitte e consistenti, dal paesi circostanti e poi, man mano, anche da centri
più lontani, come quelli al di là dell'Alento, vi affluivano per visitare il nuovo
cenobio e venerare la santa che ricordava l'antico sacrificio dei martiri cristiani.
Allora, sugli spiazzi erbosi che portano al convento, dove il declivio degrada piú
dolce fin sulla sella che sparte le due vallate della Fiumara e del Testene, le
comitive di pellegrini presero talvolta ad indugiare per riprendere forza rifocillandosi
con le vivande portate da casa. Come sempre accade in tali circostanze, balenò a
qualcuno l'idea di vendere commestibili a quel pellegrini e ben presto si avviò
una prima forma di commercio da parte dei contadini produttori dei paesi circostanti.
Non certo casuale fu la scelta del giorno settimanale in cui praticare tale vendita:
il sabato, come giorno dedicato alla Madonna, attirava più numerose le schiere dei
pellegrini. Prendeva così avvio, da una pratica devozionale, il mercato più accorsato
e costante dell'intera regione cilentana. Come il mercato cominciò a tenersi in
modo sistematico e a dilatare il proprio raggio di attrazione, si rese necessario
regolamentare la vendita nel rispetto degli statuti che vigevano nel territorio
della Baronia, che nel Quattrocento, pur essendo formata da quarantaquattro terre
e casali, costituiva una sola università ed aveva come capoluogo politico e amministrativo
Rocca, antico castello longobardo che sovrastava con le sue mura possenti non solo
un minuscolo centro abitato a cui era stata estesa la medesima denominazione, ma
anche buona parte del territorio della Baronia (Si tratta del più antico castello
longobardo della regione. La sua costruzione risale verosimilmente alla fine del
sec. IX, anche se la prima notizia della sua esistenza si trova su un documento
del Codice diplomatico cavense del 1063. E' stato recentemente restaurato dal compianto
prof. Ruggero Moscati.). Gli eletti di Rocca avevano il compito di fissare la «voce»
delle derrate sulla piazza della più importante fiera della regione, quella di S.
Lorenzo, che si teneva il 10 agosto nel pressi della vicina terra di Laureana. Questa
voce annuale non proteggeva però i consumatori dalle speculazioni di coloro che
«affossavano» le vettovaglie per venderle a prezzo incontrollato nel corso dell'anno.
I catapani eletti avevano perciò anche il compito di indagare sull'andamento dei
prezzi e, dopo essersi consultati coi «Magistri grassae», imporre un calmiere da
rispettare sul mercato.(…) (…) Le speculazioni dei venditori venivano praticate
anche attraverso i pesi e le misure, non ordinati in sistema omogeneo su tutto il
territorio, sicché a giusta ragione l'università di Rocca, per evitare che i ceti
meno abbienti ne fossero gravati, nel 1531 chiese ed ottenne dal principe Ferdinando
Sanseverino che sia sulla fiera di S. Lorenzo sia sul Mercato del Sabbato si usassero
pesi e bilance controllati da sindaci, catapani e grassieri. Si regolavano così
sulle due piazze, una annuale, l'altra settimanale, i prezzi e i pesi dell'intera
regione. Il Mercato del Sabbato ebbe un raggio d'azione che è difficile ricostruire
con tutta precisione, anche perché dovette subire non poche variazioni attraverso
il tempo. Le testimonianze in verità non mancano, ma mentre sono concordi nel far
gravitare sul Mercato tutto il Cilento «storico», vale a dire quella regione «al
di qua dell'Alento», da Agropoli a Casalicchio, diventano incerte e vaghe quando
accennano ad avventori provenienti da paesi più lontani. Certo esagera il Ventimiglia
quando afferma che il Mercato nella seconda metà del Settecento «per l'abbondanza
dei viveri di ogni sorta, per la forza di popolo che ci va da diversi paesi e province
è l'emporio non solo del Cilento ma di tutta la provincia ». (…) (…) Malgrado il
successo, nessun centro abitato andò sorgendo sul luogo. Il Mazziotti parla in verità
di un piccolo casale sviluppatosi intorno alle mura del convento e avanza la supposizione
che sia scomparso con la peste del 1656 , ma la notizia non trova conferma in alcuna
fonte, in quanto né nella numerazione focatica del 1489 né in quelle del '500 si
trova mai cenno ad un casale denominato S. Maria dei Martiri. Si ha notizia invece
sicura di alcune costruzioni sul posto: qualche bottega, una taverna, una «chianga»,
che venivano utilizzate nei giorni di mercato. Il mancato popolamento è da attribuire
ad un motivo di ordine politico. Quando nel 1552 i feudi della baronia dei Sanseverino
furono venduti all'asta, il territorio dove sorgeva il convento di S. Maria dei
Martiri e dove si teneva il mercato settimanale fu aggregato al feudo di Rocca e
Rutino, i cui baroni vi esercitarono la loro giurisdizione fino alla venuta dei
francesi. Come è noto, con lo smembramento della baronia le condizioni del Cilento
si aggravarono e « di tal nuovo giogo si avvide la contrada onde pensiero surse
a' naturali di scoterlo in parte» rendendo demaniale il territorio circostante al
convento «per indi a chiunque della comarca gli venisse talento senza la soggezione
del Barone potesse colà recare sua stabile dimora » (Ventimiglia). Più intrigata
diventeràla questione dopo le leggi eversive, quando i vari comunilimitrofi a Mercato,
e cioè S.Mango, Perdifumo, Laureana, e Lustra, si contenderanno i diritti su quel
luogo.(…) (…) La piazza del Mercato del Sabbato, per la sua posizione nel cuore
della regione, si prestava non solo come emporio commerciale ma anche come centro
di vita civile, politica e religiosa dei cilentani. I fatti che interessavano le
comunità dei paesi limitrofi talvolta li venivano discussi e pubblicizzati. Così
quando il 24 febbraio 1551 debbono incontrarsi i rappresentanti di ventidue centri
abitati per discutere sul modo come ripristinare un'antica «congiunzione», lo fanno
li, presso il convento di S. Maria dei Martiri. Convento che aveva un locale adibito
a «farmacopea», che il sabato era a disposizione dei notai delcircondarlo, i quali
li davano appuntamento al propri clienti per redigere gli atti che li interessavano.
Le autorità utilizzavano il luogo per diffondere le notizie di interesse comune.
Nello spiazzale piùaccorsato, per il quale tutti gli avventori dovevano passare,
c'era un olmo al quale venivano affisse le ordinanze. Anche il cursore della corte
vescovile si serviva di quell'olmo per pubblicizzare i cedoloni delle scomuniche
comminate dal vescovo. E li, bene in vista, era anche il patibolo perché i passeggeri
potessero ricevere severo monito assistendo alle esecuzioni o contemplando l'orrendo
spettacolo dei cadaveri rinsecchiti della gente impiccata.
Questi motivi per cui il Mercato soleva affollarsi ogni sabato favorirono gli interessi
materiali dei monaci del convento e tennero vivo il culto religioso. I carmelitani,
profittando del gran volume di commercio che si faceva intorno a loro, consolidarono
bene il loro prestigio e la loro proprietà. Non ci fu forse paese della regione,
anche fra i più lontani dal convento, nel quale non avessero interessi o beni immobili.
Basta guardare gli atti dei vari notai della zona per notare quanto spesso quei
monaci si costituissero parte in causa per atti di compra‑vendita e, più spesso,
per denari dati in prestito a privati, con tassi d'interesse quasi sempre più elevati
di quelli correnti. Intanto il convento conservava il suo richiamo nei riguardi
dei pellegrini, anzi lo rinvigoriva quando al culto degli antichi martiri cristiani
sostituiva quello della Madonna del Carmine, che tuttora si solennizza il 16 luglio
di ogni anno. Il flusso dei devoti si accentuava quando. in occasione di calamità,
si dovevano impetrare alla Madonna e ai santi grazie particolari. E' quanto accadde
nel maggio del 1768, quando una lunga siccità faceva temere per il raccolto e fresco
era il ricordo delle tristi conseguenze della carestia del '64. Convennero allora
al convento i cleri di numerosi paesi vicini, seguiti da grande stuolo di fedeli
e tutti assieme in processione invocarono la pioggia. (…) (…) Nel corso dell'Ottocento
ha inizio la fase di declino del Mercato. La sua funzione di monopolio è posta in
discussione dall'apertura delle nuove vie di comunicazione, terrestri e marittime,
che collegano ora la regione con l'esterno. L'esigenza di creare nuovi empori si
avverte particolarmente nei paesi che si affacciano sul mare e che vedono intensificarsi
il traffico dei loro porticciuoli. (…) (…) Il declino del Mercato aveva inizio,
paradossalmente, proprio quando il suo centro veniva toccato dalla strada carreggiabile
che lo metteva in comunicazione con la statale 18. Né valeva a nulla il tentativo
di rinvigorire l'importanza commerciale di quei centro col progetto di tenervi una
fiera il 30 maggio di ogni anno. L'istanza fu appoggiata da molti comuni, anche
da taluni distanti, come Agropoli, Ogliastro, Cicerale, e motivata dettagliatamente:
la centralità del luogo, la sua posizione felice, la costruita strada rotabile,
il vicino demanio comunale atto al pascolo delle bestie, l'abbondanza di acqua nelle
terre limitrofe. Il Consiglio d'Intendenza non volle saperne e la fiera non fu concessa".
Alla luce delle notizie fin qui riportate e ricordando la definizione di mercato
che il Grohmann dà riferendosi al Regno di Napoli nel periodo aragonese «(...) è
fenomeno essenzialmente collegato al sorgere delle città e all'inurbamento. E' luogo
d'incontro tra coloro che vivono entro le mura, e quindi dentro la città, con quelli
che abitano nel circondario (..)», vien fatto di considerare la singolarità del
Mercato del Sabbato, durato per oltre quattro secoli in luogo privo affatto di edilizia
e di popolazione. Caso anomalo? Fino a un certo punto. Caso, diremmo piuttosto,
che conferma quella considerazione che avanza il Gambi quando dice « (…) Che il
modo o il grado con cui l'ambiente è stato incorporato nella storia ‑ è divenuto,
in una parola, realtà umana ‑ sì manifesta in Italia molto diverso da zona a zona(…)»".
In altri termini, quando il cilentano fa suo l'ambiente S. Maria dei Martiri «lo
fa perché riconosce, cioè scopre in esso utili vocazioni (...): più precìsamente
delle potenzialità a fornirgli certe produzioni (...)». In pratica il cilentano
ha esigenze di carattere civile, politico, amministrativo, economico, culturale,
religioso, in parte o in tutto inappagate, e quando periodicamente si porta in quel
luogo situato a centro della regione, a poca distanza dal minuscolo capoluogo Rocca,
è perché li vorrebbe vedere unitariamente risolte quelle esigenze. (…) (…) La piazza
del Mercato, malgrado i saltuari episodi di ordine civile, amministrativo o giurisdizionale,
restava il luogo d'incontro di una clientela commerciale, che sostanzialmente esauriva
le proprie necessità e i propri fini nello scambio materiale merce denaro. Mentre
sulla piazza cittadina il mondo rurale, coi suoi valori culturali, viene a trovarsi
a confronto col mondo urbano, nel quale mercanti, professionisti e artigiani hanno
elaborato una cultura diversa, qui, sul Mercato del Sabbato, l'incontro è monocorde,
non trova mai motivi di contrasto e di dialettica, non genera fermenti che possano
stimolare la coscienza sociale degli individui. Motivo non ultimo della fragilità
delle strutture collettive che ha caratterizzato la moderna storia civile del Cilento.
Innegabile è comunque l'importanza che il Mercato ebbe nella vita economica cilentana,
in quanto l'intera regione, approvvigionandosi su quella piazza, poté regolare domanda
ed offerta delle vettovaglie in relazione ai mutamenti stagionali che i prodotti
andavano subendo nel corso dell'anno. (…) (…) Il declino del Mercato del Sabbato
si verificava proprio negli anni in cui profondi mutamenti venivano a modificare
il secolare immobilismo del mondo locale. L'abolizione dei privilegi feudali, la
vendita dei beni demaniali ed ecclesiastici, la costruzione di strade rotabili che
collegavano la regione con la piana pestana, la sicurezza dei porti e della navigazione
marittima dopo la scomparsa del pericolo barbaresco, la crescita demografica, erano
tutti elementi che generavano un nuovo fervore mercantile, confermando la validità
di antichi raduni periodici o proponendo l'opportunità di crearne altri in luoghi
o in tempi diversi. (…) (…) La crescita del mercato di Vallo proprio mentre declina
il Marcato del Sabbato, offre ora al Cilento nuove occasione di vedere unitariamente
proposte e discusse in un centro pilota le varie esigenze delle singole comunità.
In altri termini, ciò che non era stato possibile attuare sulla piazza del Mercato
del Sabbato tra metà Quattrocento e fine Settecento poteva ora riproporsi a condizioni
molto più vantaggiose appunto in questa nuova cittadina, che attraversava una fase
di crescita demografica ed urbanistica e vedeva sorgere e fiorire nel proprio abitato
tanti enti di nuova istituzione. Ma qui purtroppo e destinato ancora a rimanere
deluso chi si aspetta, dal coincidere di tante circostanze favorevoli un rinnovamento
della vita civile, del Cilento. Sono innanzitutto le cifre a dimostrare come modesta
e contenuta sia stata la spinta demografica del nuovo centro: i 2.400 abitanti di
fine Settecento salgono appena a 5.127 dopo l'Unità e si mantengono poi immutati
fino agli anni Venti di questo secolo. Né si realizza, se non in termini modesti,
quell'incontro tra mondo rurale e mondo cittadino che solitamente fa evolvere la
coscienza sociale dei singoli. Più difficile è in questo caso individuare i motivi
per cui il mercato anche qui resta nei limiti di uno scambio puramente strumentale
e la cittadina non decolla verso il ruolo di vera città‑pilota. C'è indubbiamente,
ancora insufficienza di sistema viario in un'area che, diversamente da quella del
Cilento «storico», ha centri piùradi, ma c'è soprattutto una dicotomia che permane
immutata tra due diverse culture, quella del foro, della curia e del seminario e
quella del contado, la prima chiusa entro schemi teorici completamente estranei
alla realtà locale, la seconda legata ad antiche tradizioni di individualismo, di
autosufficienza, di diffidenza verso innovazioni e mutamenti. Dicotomia comprovata
dallo scarso proselitismo che il movimento rivoluzionario borghese riuscì ad attuare
fra i contadini quando li chiamò a partecipare ai vari moti risorgimentali che scoppiarono
nella regione. E isolate dovevano rimanere le voci di due intellettuali nuovi, Filippo
Rizzi di Ascea e Vincenzo Gatti di Laureana, i quali, sulla scia del Genovesi, ai
principi dell'Ottocento operarono un'acuta analisi delle oggettive condizioni del
Cilento, indicando pure certi metodi per rimuovere gli « ostacoli fisici » e gli
« ostacoli morali » che, a loro avviso, impedivano i commerci e le manifestazioni
di vita collettiva nella regione. A queste conclusioni sembra di poter pervenire
alla fine del nostro discorso, che, esaminando i caratteri dei mercati settimanali,
ha cercato di coglierne i rapporti con la vita economica, religiosa e, soprattutto,
civile della regione (…)