La panificazione avveniva ogni sette giorni, e il pane prodotto veniva consumato
nell’arco della settimana. Il luvatieddo o criscito (lievito) veniva preparato il
giorno prima impastando farina ed acqua. Il composto veniva lasciato fermentare
in una ciotola e coperto con un maccaturo (fazzoletto) o con una foglia di cavolo,
in un posto riparato e caldo per tutta la notte. Molto spesso, invece, capitava
che la massaia doveva procurarsi il lievito, allora si usava chiederlo alla comare
vicina di casa, ed era anche l'occasione per fare conversazione. La lavorazione
vera e propria iniziava all'alba: di frequente con la collaborazione di una compagna
di lavoro iniziava la preparazione della pasta. La farina veniva setacciata nella
matra (cassa rettangolare e svasata che veniva usata per la panificazione), vi si
univa il lievito naturale preparato in precedenza e si iniziava ad impastare. Il
lavoro era lungo e richiedeva molta fatica. La pasta veniva manipolata con i pugni
chiusi e, chine sulla matra, si doveva puzeniare (lavorare con i due pugni in modo
alternato) con forza per ottenere un buon impasto. Poi il prodotto della lavorazione
veniva avvolto con coperte di lana e deposto in un luogo caldo e ad umidità controllata
per la lievitazione. Quando la pasta era crisciuta (lievitata) al punto giusto,
si riprendeva il lavoro di manipolazione. Questo ciclo veniva ripetuto più volte
e al termine si raccoglieva l’impasto dalla matra utilizzando la rasola (raschietto
di ferro forgiato con un manico di legno), e si forgiava fino ad ottenere forme
circolari che si ponevano su una scannatùra, dopo aver praticato in superficie un
taglio a croce. Intanto, durante la lievitazione, si preparava il forno che veniva
pulito dalla cenere con il muntolo (una piccola scopa dura fatta con una fascina
di saggina). Per provare la temperatura del forno, prima della cottura, vi si coceva
un disco di pasta in cui erano stati fatti dei fori con le dita: veniva chiamato
il viccio ed era una focaccia molto gustosa apprezzata principalmente dai bambini.
Lunghe pale di legno o di ferro venivano utilizzate per poggiare sul piano di pietra
del forno, ormai ben caldo, le forme di pasta. Poi si chiudeva la bocca del forno
con una cataratta di ferro e di tanto in tanto si controllava la cottura dal fumiddo
(un'apertura laterale del forno). Le panedde (le forme di pane) sfornate venivano
riposte in una cassapanca di legno e conservate per tutta la settimana. Quando si
faceva il pane era d’obbligo fare anche le pizze fritte. Venivano preparate con
la pasta di pane: una piccola porzione veniva schiacciata e fritta in abbondante
olio d’oliva bollente, o anche strutto, e ancora calda irrorata con sugo di pomodoro
fresco. Una vera prelibatezza, molto semplice ma dal gusto unico e il profumo delizioso,
che attraeva il gusto non solo dei bambini, ma anche degli adulti.